Abbiamo intervistato la scrittrice esordiente Arcangela Viggiano, che ci ha parlato del suo romanzo e del suo rapporto con la memoria e la scrittura.
“Se il tempo si fosse fermato in uno di quei pomeriggi d’estate non avrei dovuto passare la vita e a rincorrerlo”. È la citazione dalla quale è tratto il titolo del romanzo, che rapporto intercorre secondo te tra il tempo e la memoria.
Perché hai scelto proprio questo titolo?
Credo che i concetti di tempo e memoria siano in rapporto di interdipendenza. Entrambi fanno parte della vita degli uomini che acquista senso solo se inscritta in una cornice temporale e della quale è possibile trovare traccia attraverso la memoria. Quest’ultima ha la funzione di abbattere la separazione del passato dal presente, attraverso di essa il passato confluisce nel presente e permette quel continuum che è la premessa essenziale del vivere. Non è pensabile un essere umano che non abbia memoria. La sua assenza è descritta nel canto nono dell’Odissea come “lotofagia” ed è appunto la condizione dei “lotofagi” ossia uomini senza memoria perché hanno mangiato il loto, un dolce frutto che cancella il passato, ma anche il futuro. Il tempo, nel suo correre incessante, così effimero nella sua forma di presente, diventa subito passato, prossimo o remoto ma pur sempre passato. Questo ci costringe a vivere una situazione di costante dialettica con il tempo, una situazione di incertezza che trova tuttavia un fermo riferimento nella memoria. La “scoperta” del tempo e della sua inarrestabilità è il filo conduttore del romanzo. Vi chiederete perché definisco scoperta una cosa che tutti sanno. Ebbene, a scoprire quella che sembra un’ovvietà, è una bambina, che è poi la protagonista del romanzo. L’intuizione di fondo è che il tempo è una corsa inarrestabile verso la morte e l’oblio, da qui nasce il bisogno di fermarlo. È un rapporto molto tormentato quello tra la protagonista e il tempo che si oggettiva in una sorta di dialogo, un monologo in realtà e percorre il romanzo dall’inizio alla fine. Dopo aver lottato, imprecato contro di lui, cercato di manipolarlo e di blandirlo con parole dolci non rimane altro che accettarne l’inarrestabilità. Ma allora perché tanto rumore per nulla? Potrebbe sembrare un non-senso ma non lo è. La vita degli uomini nel suo dipanarsi, intessuta di momenti di amore e odio, follia e ragionevolezza, gioia e disperazione dà senso al tempo e alla memoria. Credo che qualsiasi vita, intesaanche come storia da raccontare,trasferita dal piano di esperienza individuale a esperienza universale, contribuisca al divenire del mondo e gli dia senso .
Scrivi “È una distorsione della mia mente ricercare la bellezza ovunque”. A parlare è Arcangela scrittrice o solo la protagonista della storia? Quanto conta nella crescita e nella maturazione di una persona l’apporto dato dalla bellezza (e dall’arte)?
In un romanzo come il mio è difficile tenere separata la scrittrice dalla protagonista, le loro vite corrono parallele ma non sono la stessa persona. Martin Heidegger, nella sua opera del 1927, Essere e tempo, individua un carattere esistenziale comune a tutti gli uomini. :” l’ essere gettati nel mondo”, attraverso la nascita , evento che esula completamente da una loro scelta . Ciò implica un sentimento di “angoscia”, che è quindi una condizione emotiva originaria dell’uomo. Il modo per fare fronte all’angoscia è la ricerca di strumenti utilizzabili per “Essere” nel mondo e comprenderlo. Per la scrittrice e la protagonista la ricerca continua, talvolta ossessiva della bellezza, tanto da diventare una distorsione, è senza dubbio la strategia per resistere nel mondo e per comprenderlo . Credo che l’arte, in tutte le sue manifestazioni sia un serbatoio inesauribile dal quale suggere bellezza e completarsi come esseri umani. Il tempo dell’arte è un tempo immobile, sospeso, che si anima solo con il “contatto” con le persone. Pensate ad un museo, senza visitatori sarebbe solo un luogo come tanti. Un libro senza un lettore è solo un oggetto, una partitura di musica sarebbero fogli di carta se non ci fossero esecutori e ascoltatori. L’ arte e gli uomini sono in rapporto di costante interazione. Anche la bellezza della natura può salvarci.
“Esco nell’aria che ancora sa di ginestre e fiori di sambuco” è il verso con il quale il romanzo si chiude. Ancora una volta la voce della scrittrice si aggiunge a quella della protagonista. Il riferimento alla natura come altra fonte di bellezza mi sembra chiaro. Una bellezza che va protetta, messa al riparo da logiche devastatrici che non tengono conto degli esseri viventi tutti: umani, animali e vegetali. Preservare la bellezza in ogni sua forma è una nostra responsabilità .
Emerge dalla tua opera la questione della terapia e della necessità di supporto psicologico in alcune circostanze della vita.
Puoi dare un suggerimento alle nostre lettrici in questo senso?
La protagonista della mia storia è una persona affetta da un disturbo mentale che vive il suo stato con tragicità e sarcasmo. Una donna che in ragione della sua malattia e del suo vissuto, si reputa priva di qualsiasi qualità che abbia un riconoscimento nella nostra società. Il ruolo che meglio la identifica è quello di “gattara” . Un personaggio negativo quindi. La conseguenza di tutto ciò sono intensi malesseri fisici e psichici che non le danno tregua. Il ricorso a terapie farmacologiche che ironicamente definisce “principi attivi” non è sufficiente a consentirle una vita accettabile. Lo psichiatra che la segue le consiglia di rivolgersi ad uno psicoterapeuta. Nel suo caso il medico è una donna, la dottoressa Balzano, che è senza dubbio una figura chiave del mio romanzo, interlocutrice riservata e discreta che aiuterà la protagonista nel suo percorso di rinascita.
Il suggerimento che mi sento di dare non solo alle lettrici ma a tutti coloro che soffrono a causa di questa malattia è quello di non soccombere allo stigma che spesso essa porta con sé, quali che ne siano le cause. Si può guarire o almeno trovare una ragione di quanto ci è accaduto o ci accade e affrontarlo con l’aiuto di specialisti che mettono ordine nel caos che a volte sembra risucchiarci. A volte cominciare una terapia psicologica significa prendere consapevolezza che da soli non ce la facciamo, consapevolezza che non è una sconfitta ma può essere il primo passo verso la guarigione.
La passione per la scrittura quando nasce in te? L’hai coltivata fin da piccola o è stata una scoperta graduale?
L’affermazione che leggere sia un’attività che precede lo scrivere mi sembra abbastanza banale ma è al contempo veritiera. Quella per la lettura è stata una passione bruciante da quando ho imparato a leggere. La scrittura si è limitata inizialmente ai temi di italiano che la mia maestra alle elementari faceva girare per le altre classi e che gli insegnanti declamavano ai loro annoiati studenti. La cosa è proseguita nel tempo fino al liceo dove l’ammirazione si è tradotta i buoni voti. Sono questi i miei esordi di scrittrice, scrivere quando mi veniva richiesto. Solo dopo diverso tempo ho cominciato a scrivere per il piacere di farlo. Tradurre i pensieri in parole scritte è diventato man mano un bisogno.
Ho scritto poesie, riflessioni su vari argomenti e lettere (amo molto gli epistolari, peccato che sia una forma di scrittura piuttosto desueta) che sono in giro su fogli o cartelle di computer senza che abbia mai pensato alla pubblicazione. Anche il mio romanzo “Se il tempo di fosse fermato” avrebbe fatto una fine analoga se Lorenza Colicigno, scrittrice e mia insegnante di italiano e latino al liceo, non avesse in un certo senso caldeggiato per darlo alle stampe. Ed eccomi qui a rispondere ad una intervista nei panni non tanto convinti di scrittrice. Credo infatti che ci voglia ben altro per definirsi tali. Tutti possono scrivere, ma non tutti sono scrittori. Esserlo implica una certa dose di responsabilità , coraggio e perseveranza. Non solo. A proposito di scrittori. Alessandro Baricco in ” La via della narrazione”, ci regala pagine bellissime e illuminanti il cui oggetto è appunto il narrare.
“Narrare è l’arte di lasciare andare una storia, una trama e uno stile nel flusso di un unico gesto. Il suo scopo è tenere insieme cielo e terra” .
Tenere insieme cielo e terra. Questa frase mi fa venire i brividi. Di piacere naturalmente. Ecco cosa deve fare per me uno scrittore.
Infine una domanda più personale.
Quanto ritieni sia importante narrare in primo luogo a sé stessi il proprio passato, con tutte le sofferenze che siporta dietro?
Sei d’accordo che scrivere aiuti a dare senso a ciò che è stato?
Sempre con maggiore frequenza si parla di Writing Therapy, una dimensione della scrittura che è appunto della terapia, della cura. Tradurre i pensieri in parole scritte, implica il passaggio da un piano intimo , nascosto , che è quello del pensiero ad un piano palese, manifesto che è quello della scrittura. In questo modo la sofferenza e in genere le cose negative che ci accadono subiscono una elaborazione che può essere liberatoria. Scrivere e di conseguenza leggere ciò che abbiamo scritto ci rende in un certo senso spettatori di noi stessi e quindi in una posizione privilegiata per capire meglio cosa sta accadendo o è accaduto.